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1 Novembre 2019
Ultima modifica: 27 Maggio 2023 ore 19:11

La gioia dell'essere Santi

Puoi vivere la santità nella tua vita quotidiana, nella tua casa, ricercandola nella tua famiglia o nelle azioni di ogni giorno. Ma questa volta vogliamo concederti il sorriso sereno di Elena, giovane volontaria in Africa.
La gioia dell'essere Santi
Don Oreste Benzi ripeteva: «Siate Santi». L'incontro con il suo annuncio è occasione ancora oggi per i giovani di lasciare le proprie sicurezze e partire.
Credo che Santità sia un po' il perfetto sinonimo di impegno: impegno nella quotidianità, nelle piccole cose, in ogni grande o piccolo gesto d'amore. Don Oreste diceva: «Siate santi»! In effetti la santità non appartiene solo ai nomi scritti sui calendari, ma ad ogni uomo che voglia impegnare il proprio cuore. «Li dove lavori, tu puoi diventare Santo», dice papa Francesco. «Dio ti dà la grazia di diventare Santo —  ha spiegato il Papa — Dio si comunica a te».

Per me essere santi é saper mettere l'Altro davanti alle mie comodità, sapere aprire il mio cuore al mondo, all'ascolto dei piccoli... essere Santi è il non seppellirmi nelle mie scarpe e andare sempre oltre me stessa, come diceva il don. È andare oltre, andare e amare. Andare e fare spazio nel mio cuore. Essere santi è impegnare il mio cuore nell’Amore.

L'esperienza di volontariato in Africa: il racconto di Elena

È conosciuto come mal d’Africa: è quello stato di nostalgia che parte dall’anima, prima ancora che dalla mente. Quando ti ammali di mal d’Africa, senti il respiro mancare, una devastante malinconia ti coglie all’improvviso e l’unico pensiero fisso rimane su quella follia che con tutta l’anima vorresti esaudire: prendere il primo volo disponibile, destinazione Africa.

È una strana malattia, il mal d’Africa, perché non ti prende dopo il tuo ritorno, ma ti assale mentre ancora sei immerso nella terra rossa, guardando il sole alto all’orizzonte, pensando a tutto ciò che dovrai lasciare. Il legame che si plasma tra il tuo cuore e quella terra è quel legame primordiale tra il nostro io più profondo e la terra selvaggia.

1 settembre, Mansa

Quando l’aereo è atterrato, se non fossi stata tanto stanca avrei pianto. Che sensazione strana, che bello. Finalmente. È un po’ come essere nelle vecchie fotografie, è un po’ come essere tornata a casa.

3 settembre, Mansa

Una strana libertà nell’aria. Questa sera quando siamo tornati a casa non c’era corrente ne acqua, eppure regnava la pace. Il pensiero è volato in Italia, a tutte quelle volte che quando salta la corrente per una manciata di minuti tutto si interrompe, tutto si blocca e niente va avanti. La fretta prende il sopravvento su tutto ed allora nelle case si inizia a litigare cercando di capire di chi sia la colpa, chi abbia attaccato il phon o lavatrice mentre andava la lavastoviglie o viceversa. Qui invece, nella pace più totale abbiamo cucinato all’aperto, sul carbone. Nel mentre c’era il tramonto, i bambini cantavano e suonavano il tamburo… e io mi sentivo a casa. Abbiamo cenato con la luce delle candele.

4 settembre, Mansa

Oggi per la prima volta siamo entrati in un villaggio, la signora da cui eravamo in visita mi ha emozionata: uscendo si è presentata inchinandosi davanti ad ognuno di noi in segno di rispetto. Il suo volto era segnato dal tempo, dalla stanchezza, dalla fatica… ma trasmetteva forza.
Una bambina mi è corsa incontro e mi ha abbracciata. Era tutta sporca, ma bellissima. Sua mamma ci ha permesso di entrare nella loro casa.. che a chiamarla casa, ci vuole coraggio.. quattro piccoli buchi che noi chiameremmo stanze, l’odore acre impregnato nei muri, il pesce cucinato a terra in quella striscia di corridoio. Niente letto. Niente di niente. Ho toccato la povertà e l’unica domanda che avevo nel cuore guardando gli occhi di quella bambina era: «Perché»? Amarezza, tenerezza, colpa.
Nel pomeriggio siamo andati a giocare con i bambini della parrocchia. Bellissimo, non volevo più andare via. Mi sentivo in pace, leggera, serena nelle piccole cose. Inizio a sentire qualcosa dentro di me. Inizia a farsi strada il mal d’Africa.

5 settembre, Mansa

Oggi mi è mancato il respiro. Siamo stati alla special school per bambini disabili, sembrava un paradiso di angioletti, ma non era affatto un paradiso. Lo stato di quei bambini, parcheggiati a far nulla, i letti ammassati in lunghi stanzoni, l’odore aspro e nauseante delle pareti… nessuna figura educativa, quasi nessun ausilio fisico per quei bambini che per andare al bagno devono buttarsi a terra dalla carrozzina e strisciare come animali… tanta rabbia, tanta tenerezza… eppure il loro sorriso…
 
Abbiamo pranzato al lago, dall’altra parte di fronte a noi il Congo. Mi sono sentita così piccola, così libera, così fortunata. Primi viaggi nel baule. Mi sento bene. Non voglio tornare a casa.

6 settembre, Mansa

Oggi ero stanca morta, non avevo proprio voglia di andare a giocare sotto il sole. E invece in un secondo con quei bambini sono rinata. Mi hanno presa per mano e non mi hanno più lasciata. Mi sono divertita, mi sono sentita amata. Salutarli è stato difficile, pensare che non li avrei più visti è stato difficile. Ero molto emozionata. Mi abbracciavano e non mi lasciavano più, tutti volevano stringermi la mano ed abbracciarmi. Abbiamo corso tutti insieme cantando twende wote. Davvero difficile andare via. Mi chiedevano se ci vedremo la settimana prossima, difficile non dire si guardandoli in quegli occhi che supplicavano.
Come farei a vivere qui e poi pensare di tornare?Un pezzo del mio cuore oggi è rimasto in quel campo, in quei “you look so nice” e “I love you so much”. Stanchezza nelle ossa, ma tanta gratitudine.

7 settembre, Mansa

Bello vivere insieme, bello vivere qui. Inizio a pensare a quanto sarà difficile salutarli. Difficile pensarla come ultima sera, difficile pensare di andare via, difficile pensare a casa. Mal d’Africa. Natotela (grazie) Mansa.

8 settembre, Ndola

Ndola, sogno di una vita, dove i miei genitori sono stati in missione prima che nascessi. Senza corrente, come ormai ogni giorno. Inizio ad abituarmi.Emozioni, pensieri, voglia di viverla.

9 settembre, Ndola

Giro nei progetti della Comunità Papa Giovanni XXIII. Fascino della lingua, dei colori, della voglia di fare, dell’amore per i bambini. Progetto Cicetekelo (speranza), Special School, Mary Christine. Il sogno di una vita. Terra rossa tutto intorno a me. Mi sento a casa.

10 settembre, Ndola

Ultima visita al progetto Rainbow, malnutrizione. Ho pianto tanto. Mi sono sentita inutile, persa, in colpa, con tante domande senza risposta. Il senso di ingiustizia quasi bruciava. Guardavo negli occhi di quelle mamme mentre pesavano il loro bambino, mentre le volontarie controllavano la circonferenza del braccio ed il gonfiore dei piedi. Guardavo negli occhi di quelle mamme e piangevo io. Mi sentivo cosi estremamente, infinitamente piccola. Loro mi sorridevano con quei piccoli angeli tra le braccia, e io piangevo. Hanno cantato per noi.

11 settembre, Ndola

Oggi ci siamo divisi nei progetti. Ho scelto la terza fase del CIcetekelo, la scuola, nel compound di Nkwazi. Mancava una professoressa, così insieme ad una volontaria ho tenuto una lezione. I ragazzi erano contentissimi. Io ero contentissima. Tante domande sulla lingua italiana. Ci siamo radunati tutti attorno ad una cartina geografica per mostrare loro da dove venivo… ma era proprio li che mi sentivo a casa. Camminando per il compound tantissimi bambini ci sono corsi incontro urlando «musungu»! (bianco!) e saltandoci in braccio. Succede quasi ogni giorno ed ogni volta è un’emozione. Tutti così piccoli. Tutti bellissimi.

13 settembre, Ndola

Sta sera ho fatto il giro dai bambini che vivono in strada. Erano tanti. Troppi. Venti piccole creature strafatte di colla, che non si reggevano in piedi. Non avevano mangiato, ma tutti avevano la loro bottiglietta di colla sottobraccio. I loro occhi erano velati di tristezza, di un bisogno disperato di essere amati.
 
Un bambino con una felpa rossa tutta sgualcita, aperta, sporca, mi si è avvicinato, mi ha arrotolato le maniche della maglia perché erano lunghe e mi coprivano le mani, mi ha abbracciata, gli ho fatto il segno della croce e non mi ha più lasciata. Con la bottiglia tutta raggrinzita tra le mani,i suoi occhi gridavano in cerca di amore. Si chiama Bonface. Ho trattenuto le lacrime tutta la sera e arrivata a casa sono scoppiata. Abbiamo visto dove dormono nelle stagioni delle piogge e in quelle calde. Tante domande in testa. Lasciarlo, lasciarli e tornare a casa credo sia stata la cosa più dura. Sento ancora i suoi “no” mentre staccavo la mia mano dalla sua. E ora io sono qui, nel letto, al caldo, mentre lui è là fuori, mentre la loro unica coperta è il buio della notte, esposti al mondo. Sono solo bambini.

14 settembre, Ndola

Incontro con il gruppo giovani. Wow, che belli. Mi sono sentita subito a casa. Simpatici, coinvolgenti, belli. Hanno cantato per noi, ci siamo presentati uno ad uno ed abbiamo ballato insieme tutta la mattina. Mi sono sentita libera, attesa, divertita. Per accoglierci i ragazzi hanno preparato uno spettacolo. Grazie. Durante i saluti quasi mi emozionavo. Sembrava di conoscerli da sempre. Voglia di restare con loro.

16 settembre, Ndola

Oggi era il mio ultimo giorno, mi sono alzata presto per prepararla colazione ai miei compagni di viaggio. Avevo voglia di rimanere, per niente di ritornare. È stato estremamente difficile salutarli e vederli andare. È stato difficile salutare la casa e l’orizzonte. Natotela Ndola.
 

Non è facile essere a casa, rientrare nei ritmi di sempre, nella vita di sempre. Ti senti stanco, stralunato e ti manca quella sensazione di pace a cui ti eri abituato. Un bel pezzo di cuore è rimasto lì, nella terra e nelle realtà che ho visto e vissuto. Venire via è stato più difficile di quanto pensassi… ma è bene tornare e lasciare che passi del tempo per comprendere…
Credo di essermi ammalata e la mia malattia si chiama mal d’Africa. È bello pensare che l’unico modo per curarla sia tornare dove si è stati bene. Natotela Africa.
 

Come fare volontariato in Africa


È possibile svolgere periodi di volontariato in Africa, brevi, di alcuni mesi, o più lunghi, previa la partecipazione ai corsi missionari organizzati dalla Comunità Papa Giovanni XXIII.

Per saperne di più è possibile scrivere un messaggio su WhatsApp al numero 346.8535195.

 
“Ascolto il grido del vento che
Come non so mi porta da te,
la voce del vento
che chiama il mio nome
è qui, che oramai tornerò”.
(Zucchero)