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23 Giugno 2020

Bambini in carcere. Apg23: «Vanno liberati subito»

Sono 34 i bambini detenuti con le loro madri, secondo l'ultima rilevazione. La riforma annunciata dal ministro Bonafede è «una occasione per porre fine a questa ingiustizia»
Bambini in carcere. Apg23: «Vanno liberati subito»
Foto di ondrooo
Per i bambini detenuti con le loro madri si somma la sofferenza della vita reclusa a quella della separazione dalla madre quando superano i sei anni. La Comunità Papa Giovanni XXIII ha presentato al Ministro della Giustizia una proposta di riforma normativa che potrebbe risolvere il problema.
Qualche settimana fa, il Sottosegretario di Stato alla Giustizia Andrea Giorgis -  a seguito della sollecitazione dell’assessore regionale piemontese Chiara Caucino, ospite dell’incontro del 2 giugno “Una ‘Casa senza sbarre’ per mamme detenute con bambini coordinato dai garanti regionali dei detenuti e dell’infanzia Bruno Mellano e Ylenia Serra -  ha espresso il proprio interesse al dramma dei bambini innocenti chiusi in carcere con le loro mamme. Una tragedia che anche in piena pandemia non ha cessato di esistere, tanto che lo stesso sindacato della polizia penitenziaria di aveva lanciato un accorato allarme.
La Comunità Papa Giovanni XXIII, da anni impegnata a denunciare la presenza di questi bimbi reclusi e a promuovere pene alternative alla detenzione per mamme e bambini, aveva fatto un preciso appello alle istituzioni e ha presentato ad aprile scorso una propria proposta di riforma della legislazione detenute madri e bambini in carcere al Ministro della Giustizia, al Garante nazionale dei diritti delle persone detenute o private della libertà personale Mauro Palma e alla allora Garante Nazionale per l'infanzia e Adolescenza Dr.ssa Filomena Albano.
(scarica il Pdf della proposta)
Le annunciate riforme da parte del Ministro Bonafede, del diritto penale, dell’ordinamento giudiziario e del diritto processuale penale sono un’occasione da non perdere per porre fine a questa terribile ingiustizia.

La normativa attuale è inadeguata

I dati forniti dal ministero della giustizia al 31/12/2019 rilevavano la presenza di 48 bambini nelle carceri italiane. Secondo l'ultima rilevazione disponibile sono leggermente calati (erano 34 al 31 maggio 2020) ma la situazione è inaccettabile e va trovata subito una soluzione.
La legge 62 del 2011 prevede la possibilità di scontare la pena della “detenzione speciale” in una Casa famiglia protetta e laddove il giudice, per gravi motivi, non ritenga opportuno tale misura alternativa, il nucleo madre-figlio/i dovrebbe essere collocato negli Istituti di custodia attenuata - ICAM, unità carcerarie speciali. Tale legge, inoltre, ha innalzato da tre a sei anni il limite di età dei bambini che possono vivere in ICAM con le proprie madri.
La legge, tuttavia, ha dei limiti che ad oggi debbono essere necessariamente superati.

La proposta di riforma avanzata dalla Comunità Papa Giovanni XXIII

In estrema sintesi il contributo presentato al Ministro e ai vari Garanti chiede:

•          il finanziamento per la nascita e la gestione di case famiglia protette “senza sbarre” su tutto il territorio nazionale, in collaborazione con l'ente locale e il privato sociale, superando il principio “senza oneri aggiuntivi per lo Stato” enunciato dalla legge 62/11.
•          l’allargamento alle case famiglia accreditate, che già ospitano donne con bambini in difficoltà, e alle CEC (Comunità Educanti con i Carcerati)  la possibilità di riservare posti all’accoglienza di madri detenute con i loro bambini in misura alternativa. Questi luoghi sarebbero realmente idonei al recupero della madre, senza privare il bambino della sua presenza. In questo contesto rieducativo, inoltre, sarebbe possibile svolgere un'attenta osservazione delle dinamiche relazionali mamma-bambino per fornire preziosi elementi, affinché i servizi sociali possano valutare la capacità genitoriale della madre. L'ambiente familiare della casa famiglia risponderebbe ai bisogni fondamentali del minore promuovendone il suo normale sviluppo, andrebbe altresì ad accompagnare e rinforzare il ruolo genitoriale della madre. 
•          prevedere obbligatoriamente l'uscita dei bambini dagli ICAM per la frequenza obbligatoria dei nidi e delle scuole esterne, per favorire la socializzazione dei bambini e il loro inserimento nella realtà educativa e culturale del territorio. Le mamme avrebbero in questo modo il tempo di dedicarsi ad un percorso di riabilitazione attraverso il lavoro e le attività volte a far maturare in loro la consapevolezza dei propri limiti e delle proprie risorse, mettendo le basi per un reintegro nella società a fine pena e per l'assunzione di una più adeguata responsabilità genitoriale.
•          modificare la normativa affinché, a partire dall’anno di età del minore (estensibile per il periodo dell’allattamento e salvo estremo pregiudizio), venga previsto l’affidamento familiare al padre o ai parenti nel caso siano ritenuti idonei, etero-familiare in caso contrario. L’inserimento del bambino in un contesto familiare, e conseguentemente sociale differente, consentirebbe ai bambini di sperimentare la normalità di una vita familiare esterna al carcere e di non dover subire anch'egli la reclusione forzata. 
•          promuovere, in mancanza di altre possibilità, progetti di affido etero familiare per questi bambini, avendo cura di valorizzare la relazione madre-figlio attraverso visite in carcere. 

L’infanzia reclusa

I bambini reclusi soffrono un doppio trauma: quello della vita reclusa e quello della separazione traumatica dalla madre al compimento del limite di età. Mancanza di libertà, mancanza del padre e degli altri parenti, mancanza di stimoli sensoriali, mancanza di amici, mancanza di contatto con la natura, sono alcune delle privazioni a cui vanno incontro questi bambini. Se fossero lasciati crescere all’esterno, andando a far visita regolarmente alla mamma, ed essendo informati, con grande delicatezza, su ciò che a lei è effettivamente successo, sarebbero meno penalizzati nella loro crescita umana e personale. 
Il prezzo della carcerazione di una madre è la sofferenza del minore i cui diritti vengono sacrificati. Occorre rimettere al centro l’innocenza del bambino. Il benessere psico fisico del bambino non dipende infatti   solo   dal rapporto   duale, madre-figlio, ma si compone necessariamente di un terzo elemento altrettanto importante, l’ambiente. Infatti, se il rapporto affettivo e simbiotico con la madre (che dovrebbe rappresentare un fattore di crescita armoniosa del bambino), si estrinseca in un luogo chiuso seppur rumoroso, delimitato negli spazi da chiavistelli e sbarre, con aria e luce limitate, diventa il suo contrario e cioè un’oppressione reciproca. È doloroso staccare i bambini dalle madri, ma è ancor più doloroso e penalizzante farli crescere fino a sei anni in carcere.

Occorre assolutamente impedire che per minori sotto i tre anni si aprano le porte del carcere e auspichiamo che il rinnovato interesse del Governo sul punto espresso dal Sottosegretario di Stato e il rinnovamento annunciato in materia di Giustizia dal Ministro non si dimentichino di questa riforma ancora da fare.