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31 Marzo 2023

Cooperativa Il Ramo. Trent'anni di inclusione nel lavoro

Quattro centri diurni e molteplici attività lavorative, con un bilancio che supera i 3 milioni di euro. Il presidente Miglietti: «Soddisfatti, ma ora abbiamo nuovi progetti».
Cooperativa Il Ramo. Trent'anni di inclusione nel lavoro
Costituita nel 1993, l'azienda ha progressivamente diversificato le proprie attività, fino a coinvolgere oltre 350 persone e offrire una vasta gamma di servizi, con un'attenzione particolare alle persone fragili.
Dalla lavanderia industriale all’essicazione del polline, dal confezionamento di alimenti alla conduzione di un ostello. Sono alcune delle attività gestite in provincia di Cuneo dalla cooperativa sociale Il Ramo, che oggi pomeriggio festeggia i primi 30 anni di attività con un evento a Fossano in cui si dibatterà sul welfare del futuro (Qui le info e il link per partecipare alla diretta on line).
Un nome insolito, per una azienda di servizi che nel 2022 ha superato i 3 milioni di fatturato. Spiegato oggi, rivela come già all’esordio vi fosse la consapevolezza di una realtà destinata a un forte sviluppo.
«Le prime semplici attività lavorative furono gestite con una associazione, per dare una occupazione diurna alle persone con disabilità accolte nelle case famiglia della Comunità Papa Giovanni XXIII – dice il presidente Luca Miglietti –. Nel 1991 arrivò la legge 381 sulle cooperative sociali e così nel 1993 si decise di costituirsi in cooperativa. Dovendo scegliere un nome, ai fondatori venne in mente l’immagine del “ramo”, per esprimere l’idea di una azienda in grado di ramificare ed estendere le proprie attività in molti settori».
Cosa che poi si è verificata, e oggi basta dare un’occhiata al sito aziendale per scoprire una realtà estesa e diversificata, con un settore socio-assistenziale che dà lavoro a 50 persone e offre servizi educativo-occupazionali a 120 soggetti svantaggiati nei 4 centri diurni, e un settore produttivo che occupa una quarantina di persone, tra cui 13 soggetti svantaggiati, nei diversi rami di attività: lavanderia industriale, confezionamento di prodotti alimentari, manutenzione aree verdi, recupero e vendita di abiti usati, servizi di ospitalità con la gestione di un Ostello della gioventù e una Casa di spiritualità.
La cooperativa acquista la biancheria e la noleggia lavata e stirata ad alberghi, case di riposo, terme e altre aziende private, dando lavoro a soggetti svantaggiati

 
Luca Miglietti, 46 anni, sposato, una famiglia aperta all’accoglienza con quattro figli naturali e altri due in affido, è approdato in cooperativa nel 2002, dopo aver conosciuto la Comunità Papa Giovanni XXIII che gli ha aperto nuove prospettive di vita.
Luca Miglietti, presidente della Cooperativa Il Ramo
 
Compiuti gli studi di Ragioneria e conseguito un Diploma universitario in amministrazione aziendale, la sua carriera lavorativa sembrava già delineata: prima alcuni ruoli gestionali in aziende private, poi l’approdo in banca, con grande soddisfazione del padre, anche lui bancario. Comprensibile dunque la delusione del genitore quando il figlio gli comunicò la decisione di lasciare il “lavoro sicuro” per intraprendere un’avventura dai tratti non ben definiti.
«”Ma ti pagano?”, mi ha chiesto – racconta Miglietti –. Poi però ha rispettato la mia scelta e ora è contento di come sono andate le cose».
L’azienda in quegli anni era in espansione e si cercava qualcuno che curasse la parte contabile e amministrativa. Un’occasione, per lui, di mettere le sue competenze a servizio di un progetto lavorativo più corrispondente alle scelte di vita che stava affrontando. Parte così il nuovo percorso lavorativo che Luca Miglietti ha affrontato con impegno e crescenti responsabilità, fino a diventare, nel 2020, presidente della cooperativa.

Intervista al presidente della cooperativa sociale Il Ramo, Luca Miglietti

Non deve essere facile gestire una azienda di queste dimensioni, con molte sedi e attività.

«Fortunatamente non sono solo. Abbiamo un bel consiglio di amministrazione composto da sette membri: due rappresentano il settore A, quello che gestisce i servizi socio-assistenziali; tre il settore B, le attività produttive; io rappresento il settore amministrativo e commerciale. Poi c’è il responsabile di zona della Comunità Papa Giovanni XXIII, in quanto la cooperativa per noi è una sorta di braccio operativo della Comunità, con cui opera in stretta collaborazione.»

E il tuo ruolo di presidente?

«Io continuo a seguire in particolare il settore amministrativo e contabile, però da quando sono presidente giro parecchio tra le strutture, incontro i vari centri di lavoro, cerco di passare del tempo con i lavoratori e anche con i ragazzi dei centri, ascoltare come vivono. Serve a me per capire i problemi e cercare di risolverli, ma anche a loro fa piacere sentire che chi ha la responsabilità della cooperativa è una persona vicina, che li ascolta.»    

Che tipo di persone svantaggiate inserite?

«Nei centri diurni soprattutto persone con disabilità fisica o psichica. All’inizio provenivano dalle case famiglia della Comunità, ora invece diamo una risposta anche a molte famiglie del territorio. Nelle attività produttive invece inseriamo persone con disabilità riconosciute, o provenienti dal carcere o varie forme di dipendenza, ma anche soggetti con forme di disagio non certificato.»

Attività di confezionamento e etichettatura di prodotti alimentari, gestita in conto terzi dalla cooperativa sociale Il Ramo

 

La cooperativa è un luogo di passaggio per poi trovare altri lavori o dà un’occupazione definitiva?

«Entrambe le cose. Alcune persone si legano alla cooperativa e rimangono, anche perché, per le loro caratteristiche, difficilmente riuscirebbero a trovare delle alternative. Per altre invece puntiamo a favorire un passaggio successivo in normali aziende. Su questo aspetto abbiamo da poco messo a punto un progetto per diventare una sorta di “scuola di lavoro”, dedicando tempo ed energie alla formazione finalizzata a una successiva occupazione esterna. Stiamo cercando dei finanziamenti e contiamo di partire a breve.»

Che rapporto c’è con i soggetti pubblici e privati del territorio?

«Siamo una realtà ormai riconosciuta e radicata nel cuneese. I nostri centri diurni sono tutti autorizzati e accreditati. Collaboriamo costantemente con i servizi sociali, ci segnalano le persone da inserire, ospitiamo spesso anche tirocinanti che si preparano a diventare operatori sociali. Per le aziende private siamo invece fornitori di servizi. Con la lavanderia, ad esempio, acquistiamo lenzuola, asciugamani, tovaglie e li noleggiamo lavati e stirati a ristoranti, case di riposo, centri termali. Abbiamo poi una attività di essicatura del polline che svolgiamo per vari apicoltori e per la Cooperativa Il Pungiglione, anche quella promossa dalla nostra Comunità. Un altro settore è il confezionamento e l’etichettatura di prodotti alimentari, che svolgiamo per vari marchi.»

Le cooperative sociali solitamente si dividono in quelle di tipo A, socio-assistenziali, in cui le persone svantaggiate sono coinvolte come utenti, o di tipo B, produttive, in cui almeno il 30% di soci lavoratori deve avere una svantaggio riconosciuto dalle normative vigenti. Voi, da quello che ci racconti, avete entrambi i settori.

«Siamo nati come cooperativa di tipo A, gestendo attività aggregative diurne. Poi però, nel corso degli anni abbiamo avviato anche attività produttive, ma non potevamo gestirle perché la normativa regionale non lo consentiva. Così temporaneamente abbiamo utilizzato per questo settore un’altra cooperativa della nostra Comunità, Rinascere, con sede in Veneto. Ma nel frattempo abbiamo insistito con la Regione Piemonte perché si aprisse anche alle cooperative cosiddette “miste” e pian piano siamo riusciti ad ottenere una modifica della normativa, riportando tutte le attività sotto Il Ramo. E si è dimostrata una scelta vincente anche sul piano economico.»

In che senso?

«Veniamo da anni di Covid e di crisi energetica con conseguente aumento dei prezzi delle materie prime e delle utenze. Avere più settori ci ha consentito di superare i momenti difficili, perché quando un settore è in sofferenza altri vanno meglio e così l’azienda nel suo insieme può progredire. Inoltre la diversificazione delle attività ci consente di dare risposte a persone con bisogni diversi, giovani o anziani, con capacità lavorative o con disabilità anche molto gravi, o di offrire alla stessa persona una risposta a 360°.»

Puoi fare un esempio?

«Se arriva una persona senza casa e senza lavoro, possiamo ospitarla temporaneamente nel nostro Ostello e inserirla in una attività lavorativa fino a quando è in grado di trovarsi una abitazione autonoma.»

Quante persone coinvolge la cooperativa?

«Attualmente circa 350, ma calcoliamo siano oltre 1.000 coloro che in questi 30 anni hanno in qualche modo partecipato alle attività, come lavoratori, utenti o volontari.»

Dopo questo anniversario, avete altri progetti?

«Vogliamo affrontare il tema energetico, dotando le nostre strutture di pannelli fotovoltaici, sia per ragioni economiche che ambientali. Ma stiamo pensando ad innovare anche il settore socio-assistenziale, superando la classica risposta del centro diurno.»

In che modo?

«Questi centri sono stati e rimangono tutt’ora una risorsa importante, ma vediamo che oggi i ragazzi con disabilità, essendo seguiti fin da piccoli anche a scuola, hanno capacità maggiori rispetto a quelli di qualche decennio fa. Per questo stiamo studiando percorsi che favoriscano una maggiore autonomia e inclusione sociale, inserendoli in attività a contatto con la gente anziché confinate entro le mura di una struttura. Dalle analisi fatte emerge che questo tipo di impostazione garantirebbe non solo una maggiore integrazione con il territorio ma anche minori costi.»