Dall'inferno di Haiti al Cile: una famiglia in cerca di salvezza
La storia di Williams e Benedicte, una famiglia haitiana che, nonostante il rischio di deportazioni intensificate, oggi, grazie al supporto della Comunità Papa Giovanni XXIII, ha trovato la salvezza tra le Ande
Nonostante ad Haiti faccia ben sperare l'impegno del nuovo rappresentante speciale dell'Onu, Massieu, nella lotta alla violenza delle gang, le autorità haitiane hanno prolungato lo stato di emergenza nazionale. Migliaia di haitiani, nonostante i blocchi al confine e le deportazioni, continuano disperatamente a cercare rifugio nei paesi vicini. Dal 2018, il Cile resiste nell'ospitare rifugiati, nonostante politiche migratorie sempre più restrittive. Ma riescono ad integrarsi le famiglie scappate a 6mila chilometri di distanza da casa?
Nonostante la recente nomina ad Haiti di Carlos Luiz Massieu, diplomatico messicano con trent’anni di carriera ed esperienza nel dialogo con ex guerriglieri e paramilitari colombiani, a nuovo Rappresentante speciale dell’ONU, il paese è ormai al baratro con centinaia di affiliati alle gang che controllano per il 90% la capitale Port-au-Prince, oltre 1,3 milioni di sfollati, 4.000 persone uccise soltanto nei primi sei mesi del 2025 ovvero il 24% in più rispetto al 2024.
I rifugiati: Williams e Benedicte
Sono ormai lontani da questo inferno Williams e Benedicte, una coppia haitiana che è riuscita a regolarizzarsi e ad essere integrata nel sud del Cile. Sono tra i venti rifugiati sostenuti negli ultimi anni dalla Comunità Papa Giovanni XXIII che insieme alla diocesi e alla Pastorale dei migranti dal 2018 è stata in prima linea al fianco delle famiglie haitiane.
Nel tempo della pandemia con la collaborazione dei Caschi Bianchi, corpo civile di pace, ha aperto anche una casa di accoglienza per l’emergenza haitiana, oltre alla gestione di uno Sportello di ascolto e alla raccolta delle situazioni di bisogno di persone migranti in condizioni di grave vulnerabilità.
La Comunità Papa Giovanni XXIII presente in Cile aiuta molti migranti haitiani
«L’accoglienza degli haitiani non è stata facile - racconta Alejandro Duran della Comunità di don Oreste Benzi che lotta per i diritti di migranti e rifugiati e anche degli indigeni Mapuche in Valdivia da oltre vent’anni. Tra le cause la barriera linguistica, il freddo nella nostra regione, il lavoro stagionale. Questa coppia però è riuscita a costruirsi un futuro anche se le difficoltà continuano.
«Williams ha iniziato da subito a lavorare nel settore edilizio. Benedicte ha avuto tre figli, uno quando viveva nella nostra casa e tre mesi fa ha partorito due gemelli. La situazione abitativa però è terribile. Non sono più riusciti a pagare l’affitto proprio perché oggi sono in cinque e purtroppo han dovuto sistemarsi nella baraccopoli. In più non è facile per loro mantenere la serenità pensando all’inferno che sta vivendo la loro famiglia di origine ad Haiti. Sono notizie sempre più drammatiche. Ma noi continuiamo a sostenerli economicamente anche perché sono genitori giovani. Non possiamo fare di più perché ormai le persone che emigrano sono quasi tutte venezuelane e colombiane, e le case di accoglienza sono piene».
Gli ostacoli incontrati per il sostegno dei migranti sono ancora oggi su vari fronti, come spiega Alejandro. «Abbiamo collaborato molto tempo con Oim Cile ma gli Stati Uniti dal giorno alla mattina hanno tolto i finanziamenti e tutti i professionisti si sono trovati all’improvviso senza lavoro. Le restrizioni politiche alla mobilità umana si sentono con forza. Ma in Cile non rinunceremo all’ospitalità di chi scappa dalla violenza».
La Chiesa cilena tra politiche restrittive e nuove ondate di migranti
Negli ultimi anni, molti haitiani hanno cercato rifugio in America Latina, in particolare in Cile, per sfuggire alla crescente insicurezza nel loro Paese. Affrontando viaggi lunghi e pericolosi per raggiungere Santiago e altre città cilene. Ma l’accoglienza non è stata sempre semplice: dal 2018 il governo cileno ha adottato una linea più dura sull’immigrazione, imponendo visti speciali e limitazioni all’ingresso. Inoltre la “Legge sulla Migrazione” del 2021, ha reso più complesso il processo di regolarizzazione e ha esposto molti migranti al rischio di deportazione. Molti haitiani si ritrovano oggi in una condizione di vulnerabilità, senza documenti regolari, esclusi dal mercato del lavoro e a rischio di espulsione e l'immigrazione haitiana è diventata un tema politicamente sensibile in Cile, soprattutto in vista delle elezioni presidenziali di novembre.
Dal 2022, il Cile ha implementato un programma di visti per il ricongiungimento familiare, che ha permesso a circa 15.000 haitiani di riunirsi con i propri cari, inclusi oltre 3.000 solo nel 2025. Ancora pochi rispetto al flusso degli anni scorsi.
Negli ultimi anni, al dramma degli haitiani si è aggiunto quello dei migranti venezuelani, in fuga da una crisi economica e sociale devastante. Anche loro trovano spesso nel Cile una delle poche possibilità di ricominciare. Le stesse reti di solidarietà si sono estese per accogliere anche questa nuova ondata migratoria.
Quanti migranti in Cile?
Secondo i dati dell’Instituto Nacional de Estadísticas (INE) e del Departamento de Extranjería y Migración aggiornati a metà 2025, il Cile ospita oggi circa 1,6 milioni di migranti di cui oltre 550.000 sono venezuelani, circa 180.000 haitiani, e 150.000 peruviani. Il 64% abita nella capitale Santiago del Cile, il resto nelle aree portuensi, nel nord nella regione di Antofagasta, nei pressi del porto di Valparaìso al centro o al sud in Valdivia.
Nonostante le difficoltà, il Cile continua a mostrare un volto ospitale grazie all’impegno della sua società civile e di molte comunità religiose e per molti il paese andino rappresenta ancora una terra di speranza.
Come ricordò Papa Francesco nel suo viaggio in Cile nel 2018: «Accogliere lo straniero è un dovere morale, ma anche un’occasione per arricchirsi come società».
E i vescovi della “triple frontera”: Cile, Perù e Bolivia, incontrandosi proprio un anno fa lo hanno ribadito con forza. «Il nostro orizzonte è quello di generare una cultura dell’incontro nelle case di rifugio e nei centri di assistenza alle tre frontiere, ed è estremamente importante coinvolgere tutta la Chiesa in un processo di sensibilizzazione sulle migrazioni forzate, ed entrare nella pelle del migrante e del rifugiato».