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9 Febbraio 2023
Ultima modifica: 9 Febbraio 2023 ore 09:11

L'affidamento familiare che funziona

Un convegno a Verona racconta di buone prassi, nell'interesse dei minori
L'affidamento familiare che funziona
Foto di natik_1123 da Pixabay
Nei "Centri per l'Affido e la Solidarietà familiare" la collaborazione tra pubblico e privato sociale diventa realtà, all'insegna dell'umanizzazione delle relazioni e della valorizzazione reciproca

Ci sono argomenti che rischiano di fare notizia soprattutto quando hanno qualche risvolto negativo. Uno di questi è l’affidamento familiare di cui abbiamo recentemente seguito la querelle piemontese. Facilmente si polarizzano “i buoni e i cattivi”: i genitori che sono angeli e le assistenti sociali che tolgono i bambini alle famiglie; o – al contrario – le famiglie fortemente disfunzionali e le forze dell’ordine che intervengono a salvarli.
Pare in altre parole che si riesca a catturare l’attenzione e le emozioni del pubblico quando c’è scandalo o polemica.
Anche per questo motivo è degno di nota il convegno recentemente organizzato a Verona: Racconti-amo l’Accoglienza. Perché è stato costruito in concerto tra l’ente pubblico ed il privato sociale ed ha raccontato delle esperienze di collaborazione che funzionano da anni, in cui le rispettive funzioni si valorizzano a vicenda.

L’esperienza dei CASF

È l’esperienza ad esempio dei CASF, i Centri per l’Affido e la Solidarietà familiare. A Verona sono attivi dal 2008 e sono un esempio funzionante del rapporto tra servizi e famiglie, tra servizi e associazioni di famiglie. Sul territorio, per dirlo con le parole di Raffaele Grottola, Direttore dei Servizi socio-sanitari dell’Aulss 9, «abbiamo la fortuna di avere 4 associazioni che hanno fatto la storia dell’affido», e le quattro associazioni sono la Comunità Papa Giovanni XXIII, Famiglie per l’Accoglienza, il Movimento per l’Affido e l’Adozione, e Una famiglia in più.
Pasquale Borsellino direttore dell’U.O. Famiglia, Minori, Giovani e Servizio Civile della Regione Veneto ha sottolineato il cambio di paradigma di questa esperienza ed alcune parole chiave che la contraddistinguono. Questa collaborazione garantisce la “prossimità”, cioè la capacità di dare la risposta più vicina possibile a dove nasce la domanda; e poi la “generatività”, intesa come un processo di moltiplicazione di energie e risorse, soprattutto in momenti di carenza come questo.
La voce delle associazioni di famiglie affidatarie è stata portata da Gimmi Garbujo, di Famiglie per l’accoglienza, che ha cercato di rispondere alla domanda che molti rivolgono a chi fa questa scelta: Perché lo fate? Chi ve lo fa fare?

Chi ve lo fa fare?

«Cosa sviluppa la tensione al bene per aprire le porte delle nostre case e perché ci complichiamo la nostra vita? – si è chiesto, e ha risposto – Le famiglie hanno la competenza della vita, che si esprime nel rapporto con moglie, con il marito, con i figli, con gli affidati…
E perché lo fa? Per gratitudine, perché la famiglia è un soggetto fondato sull’accoglienza e sul riconoscimento dell’altro. In questo luogo di unità tra papà e mamma entrano i figli, e nel tempo questo abbraccio si dilata fino ad accogliere tutti. L’accoglienza è l’espandersi di questo abbraccio che si può offrire a qualcun altro».
E più avanti ha elencato le qualità della famiglia: «Capacità di perdono, attenzione all’altro, sguardo che non si scandalizza dei limiti propri e altrui, non perché siamo bravi ma perché siamo portatori di un bene che abbiamo ricevuto. Non abbiamo altro da offrire se non l’abbraccio che ha investito la nostra vita. L’accoglienza è abbraccio del diverso, è capire e far capire che l’altro è sempre più grande dei suoi limiti, che gli voglio bene anche se potrebbe non cambiare mai».
Ha poi raccontato due aneddoti suggestivi e indicativi dell’esperienza dell’affido familiare: quello di un direttore dei servizi sociali che riferendosi alle famiglie affidatarie gli ha detto: «Quello che per noi è un problema diventa per voi un’avventura umana».
E poi quello di una ragazza di 30 anni, che è stata in affido dai 14 ai 18 anni che ha testimoniato: «La mia famiglia affidataria ha resistito perché non era da sola».

L’importanza della rete

La rete che costruiscono queste associazioni di famiglie è fondamentale. È una presenza costante di accompagnamento, disponibile senza limiti di giorni e di orari, in cui le famiglie con più esperienza, nel ruolo di tutor, si affiancano per una telefonata, una visita, un supporto nei momenti di incertezza del genitore affidatario. Il problema può essere dovuto a questioni educative, al rapporto con la famiglia di origine, o al rapporto tra i figli naturali e quelli affidati.
Le associazioni, oltre a questo affiancamento nel quotidiano, organizzano anche dei momenti fissi, cosiddetti gruppi di auto-mutuo-aiuto. Sono momenti in cui le famiglie si possono confrontare, consigliare, sono gruppi aperti e mutevoli ai quali partecipano sia le famiglie che hanno in corso degli affidi, sia famiglie che li hanno avuti, sia famiglie che non hanno mai accolto minori ma desiderano avvicinarsi al mondo dell’affidamento familiare.
«Da una parte famiglie che sostengono le ragioni del sì iniziale, dall’altra gli operatori che indicano i passi, accompagnano il rapporto con la famiglia di origine. Il CASF è una collaborazione proficua basata sul rispetto dei ruoli e stima».


 

Il ruolo dei professionisti

Valeria Colosi, assistente sociale, è la referente del CASF locale. Da questo lavoro insieme ha imparato ad essere disponibile anche la sera, perché le famiglie si incontrano la sera, e a tenere il telefono acceso oltre il suo orario lavorativo. «Entriamo – dice – in punta dei piedi nel dolore, nella sofferenza, ma entriamo sempre in una relazione affettiva. Quando ci vediamo con una famiglia affidataria incontriamo e valorizziamo il suo desiderio di bene. Incrociamo storie che vanno rispettate e trattare con delicatezza. A noi operatori spetta un compito etico, squisitamente umano. Le famiglie hanno bisogno di essere accolte da noi operatori. Il professionista le sostiene attraverso la stima e il dialogo. La professionalità serve anche a dare organizzazione e programmazione».
Infine «Non è vero che una famiglia affidataria deve accogliere perché è disponibile. Le famiglie in banca dati non vanno trattate come fossero un bancomat, rappresentano una storia. L’affido va preparato e il minore conosciuto. Poi, la proposta di accoglienza si fa in compresenza tra assistente sociale e i tutor associativi».
Per dirla con le parole di Marco Giordano, docente universitario di Servizio Sociale, «deve essere un “affidamento familiare” e non un “affibbiamento familiare”», secondo una ricerca, la maggior parte delle famiglie non ripete l’esperienza di affido familiare, e quelle che lo ripetono, riportano che l’hanno fatto «per la qualità umana delle persone che li hanno accompagnati».