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6 Ottobre 2025
Ultima modifica: 6 Ottobre 2025 ore 11:13

​In fuga dal Darfur, sopravvissuta alle bombe e alla tratta

La storia di una giovane sudanese che abbraccia la madre in Europa dopo anni di esodo attraversando quattro stati africani.
​In fuga dal Darfur, sopravvissuta alle bombe e alla tratta
Il conflitto nel Sudan dimenticato dai media internazionali ha causato l'esodo di oltre 14 milioni di sfollati interni e 4 milioni verso il Ciad e la Libia. Tra i più giovani, la figlia di una rifugiata salvata dalla Comunità di don Benzi nel 2018 pochi giorni fa ha potuto finalmente abbracciare la madre e, dopo tanti morti intorno a lei, digiuni, minacce e lunghi tratti a piedi, finalmente ritorna a vivere grazie alla rete di accoglienza di religiose tenaci costruita tra Ciad, Camerun e Italia
Nel cuore del Sahel, il Darfur è tornato ad essere colpito da offensive, saccheggi e pulizie etniche che hanno spinto centinaia di migliaia di persone a fuggire dalle loro case, molti diretti verso il vicino Ciad e altri cercando la via più rischiosa verso la Libia e l’Europa. Secondo le stime dell'UNHCR a metà 2025 erano già più di 4 milioni i profughi fuggiti oltre confine. Il conflitto, iniziato nel 2003, quando gruppi ribelli accusano il governo centrale di Khartoum di marginalizzare la regione, esplode con la durissima repressione del governo: appoggia le milizie Janjaweed, responsabili di massacri, stupri e sfollamenti di massa.

Il Ciad ospita una delle emergenze umanitarie più pesanti della storia, l'esodo dei sudanesi dimenticati dai media internazionali: tra il 2024 e il 2025 l’afflusso dal Sudan ha fatto salire il numero di persone forzatamente dislocate in Ciad per un totale di circa 2 milioni. I campi lungo il confine sono sovraffollati e sotto finanziati creando drammatiche conseguenze nella popolazione in fuga.

Verso la Libia, la rotta è mortale e organizzata: trafficanti e milizie intercettano convogli alla frontiera, usano informatori nelle città di confine, blocchi stradali e “punti di raccolta” dove vengono estorti riscatti. Rapporti di Amnesty, dell’OIM e del Dipartimento di Stato americano descrivono detenzioni arbitrarie, mercificazione delle persone (riscatti, lavoro forzato) e vendita di migranti a gruppi armati.

Esodo dal Darfur alla Libia fino al Ciad

S. e la madre si incontrano dopo anni in aeroporto
 
Tra questi volti e storie di bambini, anziani, famiglie intere forzatamente in viaggio, abbiamo affiancato a distanza una ragazzina poco più che quindicenne. Scappata dalle bombe e rimasta senza i nonni, ha percorso il deserto in Libia, i confini di quattro stati inseguendo un sogno: ricongiungersi con la madre, salvata nel 2018 in Libia, con l'aiuto di Unhcr e poi della Comunità di don Benzi, insieme a 1000 migranti e accolta nel nord Italia in una casa famiglia.
Ora quella stessa sorte traumatica stava toccando alla figlia. Troppo giovane, troppo bella e senza una rete familiare che possa pagare per lei l'attraversata nel Mediterraneo. Il suo cammino è stato un susseguirsi di pericoli: il timore di essere venduta, lo sfruttamento da parte di connazionali. 
Un viaggio di lunghe settimane con diversi mezzi ma soprattutto ore e ore a piedi, in cui ogni straniero è visto come nemico: da un momento all'altro si teme l'arrivo delle milizie o peggio ancora di una bomba.
Traumi che segnano le notti insonni per lungo tempo. «Una volta in Libia ho visto due ragazze della mia età morire, abbandonate nel deserto - mi racconta col volto buio. È stato terribile, a volte ancora ricordo quel periodo in cui non riuscivo nemmeno a mangiare una volta al giorno. Non avevo soldi, non avevo nemmeno il telefono per chiedere aiuto a mia madre».

La storia di una figlia ritrovata

Eppure, nel buio, qualcuno l’ha cercata, ascoltata, accompagnata. Tramite
il servizio antitratta della Comunità Papa Giovanni XXIIIi,
la intercettiamo nella capitale del Ciad, a N'djamena, con le poche indicazioni di ciò che lei vede fuori dalla finestra. Con l'aiuto della rete di Talitha kum international, S. ha trovato accoglienza, cure e la possibilità di ritrovare se stessa nonostante i tentativi dei connazionali di farla partire lungo la rotta algerina verso la Spagna. 
Con coraggio, seppur lontane, le religiose di una missione nel sud del Ciad si recano a N'djamena, più di una volta a cercare la ragazza.
S. trova quindi accoglienza in questa comunità religiosa lontano da chi non apprezzerebbe che una giovane musulmana viva con una comunità cristiana -  dove per quasi due anni attende il ricongiungimento con la madre in Italia. Durante questo tempo, S. richiede asilo da Unhcr, viene curata dalla Croce rossa ed esce dall’invisibilità, con una identità, un documento che dica chi è e da quale paese venga, impara il francese, acquisisce nuove competenze e, con il sostegno paziente ricevuto dalle religiose, e con il nostro accompagnamento a distanza di settimana in settimana, ritrova fiducia e dignità.

Il senso di impotenza

In Italia la madre, in ansia per l'assenza di contatti con altri due figli dispersi in Africa da una parte e il suo lavoro in una cooperativa dall'altra, trova finalmente la serenità. Al suo fianco i coniugi Giorgio e Rita Barbero che raccontano così, questi duri anni accanto alla mamma sudanese che non smette di pensare ai suoi figli in pericolo tra i miliziani e i trafficanti di uomini. 
«La cosa più difficile è stato per noi il senso di impotenza, non poter far nulla per accelerare i tempi, una volta saputo che la ragazza era in salvo. Abbiamo dovuto anche affrontare l'insicurezza della mamma che spesso si riversava inevitabilmente su di noi esprimendo sfiducia nonostante viviamo la quotidianità con lei e le altre figlie piccole. Ci chiediamo perchè alcune persone nel mondo debbano avere vite così difficili per essere nate in certi contesti di conflitto e di miseria mentre noi non ci rendiamo conto delle fortune che la vita ci dona. Eppure siamo andati avanti con fiducia, sapendo anche che la rete Talitha kum non avrebbe abbandonato S. alla sua sorte, e convinti che un figlio deve crescere con i suoi genitori. Abbiamo visto che si stava preparando un ricamo - come quello di cui don Oreste Benzi ha spesso raccontato ricordando la sua infanzia - che si sarebbe manifestato in tutta la sua bellezza solo in futuro. Questo ricamo non è ancora concluso e c'è ancora bisogno di annodare tanti fili ma inizia ad avere dei contorni ben nitidi».

Dal Darfur S. incontra la Casa famiglia che l'ha accolta con la madre rifugiata nel 2018
Le suore della carità che hanno ospitato una donna che fuggiva dal Darfur in Camerun
In Ciad, le religiose che han dato rifugio per due anni salutano la giovane del Darfur

Gli ostacoli burocratici dei migranti senza identità

Ottenuto il riconoscimento di rifugiata in Ciad grazie alla Unhcr, la madre della giovanissima sudanese riesce finalmente a presentare in Italia la richiesta di ricongiungimento familiare per tentare l'impossibile e riportare a casa la figlia adolescente e restituirle un'identità. Si affida all'avv. Ludovica Di Paolo Antonio che ha dovuto superare diversi ostacoli delle autorità italiane. «Nonostante S. fosse riconosciuta rifugiata sudanese dalle autorità ciadiane e dall’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati (UNHCR), che ha fornito importante documentazione utile all’identificazione e alla valutazione e verifica dei legami familiari in Italia e delle particolari circostanze del caso, e nonostante la minore età della giovane al momento della presentazione della domanda, l’Ambasciata competente non si è mostrata collaborativa, non ha tenuto in considerazione le circostanze che caratterizzano la vita dei rifugiati e non ha riconosciuto il prevalente interesse del minore. Successivamente l’Ambasciata ha ritardato significativamente il rilascio del visto, chiedendo di effettuare anche il test del DNA alla ragazza, mantenendo per mesi S. in una condizione di grave rischio per la sua vita».

Gli ostacoli, che affrontano migliaia di profughi in cerca di asilo e anche decine e decine di familiari che sperano nel ricongiungimento coi familiari perchè restare nel proprio paese significa morire tra le macerie, non finiscono qui. La ragazza deve affrontare da sola il viaggio prima verso il Camerun e poi in aereo - con scalo ad Addis Abeba - verso l'Italia.
Anche in Camerun, sono sempre delle religiose tenaci ad accogliere S. e a darle sostegno nelle ultime pratiche per l'autorizzazione alla partenza, restando in contatto costante con la nostra equipe. Accolta con premura dalle Figlie della Carità di Santa Giovanna Antida Thouret, S. è a poche settimane dall'abbraccio con la madre. Qualche volta è ancora angosciata per il fratello e la sorella dispersi tra Libia e Ciad, ma continua con fiducia il suo viaggio dopo aver attraversato in tutto ben 4 stati africani.
All'arrivo all'aeroporto di Malpensa alcune settimane fa, i volontari della Croce Rossa immortalano il pianto suo e della mamma. Un pianto interminabile. «Nei primi giorni ho dormito tanto per recuperare le notti insonni di questi ultimi anni e ora sono pronta a ricominciare la normalità. Voglio andare a scuola perchè nel Darfur non ho potuto finire nemmeno la scuola primaria. Il mio Dio, il tuo Dio mi ha salvato - mi dice col sorriso. Ora tocca a me vivere bene questa nuova vita!».

Sebbene l'ONU abbia definito la crisi in Darfur come una delle peggiori catastrofi umanitarie del XXI secolo che sembra non riscuotere interesse dei potenti per mancanza di risorse, gli orfani del paese non hanno bisogno di parlare per raccontare l’orrore che hanno vissuto. E sono migliaia quelli che come S. sperano di abbracciare un futuro di speranza.