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23 Agosto 2019

In memoria degli schiavi di ieri e di oggi

Il 23 agosto ricorre la "Giornata internazionale in ricordo della tratta degli schiavi e della sua abolizione" con la quale si è scelto di non dimenticare i milioni di schiavi degli ultimi secoli
In memoria degli schiavi di ieri e di oggi
Foto di ANSA/Marina Militare
La schiavitù nasce in contesti storici, politici ed economici assolutamente differenti dagli attuali. Ma anche nella nostra società civilizzata rimane con forme nuove. Ed è meno lontana di quanto si pensi.
Troppo spesso sentiamo usare a sproposito la parola “schiavi”, oppure non utilizzarla affatto quando le agende mediatiche richiedono di puntare i riflettori su altri fronti.
E ogni volta che accade mi assale il dubbio che i libri di storia e le testimonianze delle vittime di ieri e di oggi siano sempre meno frequentati, non tanto dai giovani – ne ho incontrati parecchi nelle scuole medie, superiori e nelle università informati o curiosi di saperne di più, commossi quando ascoltano le testimonianze dal vivo - ma dal mondo degli adulti, e in particolare di alcuni tra quelli che detengono il potere mediatico e il potere politico.

Chi erano gli “schiavi”?

Schiavo, dal latino medievale “sclavus, slavus" nel Duecento è introdotto nella lingua italiana perché in Italia iniziano ad essere trasportati (così come in Germania) schiavi slavi dall’Est Europa e dalle rive del Mar Nero. Ieri come oggi schiavo è la persona non libera, giuridicamente, considerato come proprietà privata e quindi privo di ogni diritto umano e completamente soggetto alla volontà e all’arbitrio del legittimo proprietario. In Italia la riduzione in schiavitù è un reato contemplato nell’art. 600 del Codice di diritto penale che prevede da 8 a 20 anni di reclusione per chi lo commette.
Gli schiavi che tra il 1500 e il 1800 furono comprati da negrieri portoghesi, spagnoli, inglesi (inizialmente avevano tentato di ridurre in schiavitù gli indiani d’America) ai re e commercianti locali, venivano trasportati verso la costa nord occidentale dell’Africa per lunghi tragitti a piedi, spesso seminudi e costretti a portare in testa pacchi di pelle o otri d’acqua. Provenivano principalmente dagli attuali Gambia, Ghana, Sierra Leone, Liberia, Guinea, Benin, Nigeria, Camerun, Angola, venivano “deportati” in nave e incatenati nelle stive (in particolare gli uomini) per non permettere loro di suicidarsi in mare , per essere sfruttati nelle piantagioni del Sud America e degli Stati Uniti meridionali. Nonostante fossero principalmente cristiani i coloni in America che, sostenuti finanziariamente dalle potenti assicurazioni marittime europee, acquistarono schiavi africani, da Papa Paolo III (1537) fino a Papa Pio X (1912) si susseguirono instancabilmente i documenti pontifici che condannavano la schiavitù pena la scomunica.

La tratta degli schiavi oggi: prostituzione e sfruttamento

Oggi in Europa, la tratta dei moderni schiavi, secondo il Report annuale del Dipartimento di Stato Americano, non è meno violenta e cruenta e richiede da parte del Governo italiano azioni più decise contro i trafficanti. I nuovi schiavi arrivano frequentemente attraverso le rotte del Mar Mediterraneo, tramite i flussi dei profughi e sono destinati in Italia allo sfruttamento sessuale se donne e minori (per oltre il 60% dei casi); e allo sfruttamento lavorativo nel settore agricolo, prevalentemente al Sud, e nell’edilizia, nei lavori domestici, nell’industria tessile, alberghiera e nella ristorazione, principalmente al Nord,  ma anche all’accattonaggio e allo spaccio di droga, nel caso degli uomini. Dai medesimi paesi dell’Africa subsahariana sfruttati fino a due secoli fa (ma anche da altri paesi in cui i conflitti interni mettono a repentaglio le condizioni di vita di madri sole e bambini, in Etiopia e in Eritrea per esempio), vengono trasferiti con debiti esorbitanti sulle spalle. Migliaia di persone  attraversano il Deserto del Sahara con mezzi organizzati dai driver che si alternano tramite trafficanti senza scrupolo che funzionano come moderne agenzie di viaggio per il commercio di persone. I moderni schiavi vengono torturati in Libia o vi restano intrappolati per mesi, qualcuno per anni, costretti a pagare il debito contratto con l’inganno di trovare fortuna in Europa, come schiavi nell’edilizia o come schiave del sesso nei bordelli di Tripoli. E tramite scafisti pagati dagli stessi trafficanti sperano di attraversare il Mediterraneo, convinti che una persona di fiducia di cui hanno un numero telefonico in tasca li aiuterà a trovare un lavoro una volta sbarcati. Altri invece sono trasferiti in Niger e poi in Algeria e dalle sue coste sono caricati sui barconi diretti verso l’Europa entrando in Spagna o in Sardegna. Migliaia vengono trasportati in Europa lungo la rotta turca, cercando di raggiungere Grecia, Malta e Italia, e provengono dalle aree dove sono più accesi i conflitti all’interno del mondo arabo (Afghanistan, Pakistan, Bangladesh, Iran).

La giornata internazionale per non dimenticare

Per non dimenticare gli schiavi della tratta transatlantica e quelli che ancora oggi lo sono in diverse parti del mondo, ben 21 milioni (per l’80% donne e minori), sono state istituite ben tre date: il 23 agosto in cui si commemora la rivolta sull’Isola di Santo Domingo guidata dal generale Toussant Louvertoure, primo generale afroamericano; il 2 dicembre, Giornata internazionale per l’abolizione della schiavitù, in cui si ricorda l’approvazione della “Convenzione delle Nazioni Unite per la soppressione del traffico di persone e dello sfruttamento della prostituzione altrui” del 2 dicembre 1949, e il 25 marzo in cui ricorre la Giornata internazionale in memoria delle vittime della schiavitù. Anche se in Italia è stata recepita con ritardo solo nel 1966 con la Legge 1173, in un paese democratico come il nostro, come pure nei paesi nostri vicini, tutti ci aspetteremmo che fosse già ben conosciuta a chi guida le nazioni, a chi lavora nei mass media, a chi insegna e chi educa nel mondo della scuola, del welfare, del lavoro. E sicuramente quasi nessuno saprà che sempre le Nazioni Unite nel 2013, hanno proclamato il 2015-2024 Decade per le persone di origine africana, proprio a distanza di quindici anni dall’istituzione della Giornata internazionale in ricordo della tratta degli schiavi e della sua abolizione celebrata oggi.
Inizialmente, solo pochi Stati, tra cui Haiti che ottenne l’indipendenza nel 1804, e il Senegal, commemoravano la giornata, ma con oltre 15 milioni di uomini, donne e bambini e 400 anni di commercio di schiavi, era doveroso che tutti i popoli li ricordassero e così, nel 2001, fu istituita la Giornata in ricordo di questo “crimine contro l’umanità”.
L’UNESCO ha promosso inoltre il progetto Slave Route nel 1994, per sensibilizzare sulla tratta degli schiavi e “contribuire alla decostruzione dei pregiudizi razziali e alla lotta contro le ideologie di odio e intolleranza, promuovere un dialogo tra culture che sia rispettoso delle differenze e basato sui valori della tolleranza, uguaglianza e condivisione".
Il porto di Gorée in Senegal, visitato da Papa Giovanni Paolo II nel 1992, è rimasto il simbolo di questa deportazione di massa, una porta sull’Oceano Atlantico che non vuole sminuire gli altri punti di partenza, Mina in Ghana, Ouidah in Benin, Luanda in Angola.
Ma un luogo emblematico per la memoria storica che può insegnare ad ogni cittadino del mondo, senza distinzione di colore, sesso, religione, opinione politica, cosa significano davvero l’art.1 e l’art.2 della Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo del 1948: “Tutti gli esseri umani nascono liberi ed eguali in dignità e diritti. Essi sono dotati di ragione e di coscienza e devono agire gli uni verso gli altri in spirito di fratellanza”.