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6 Settembre 2025
Ultima modifica: 6 Settembre 2025 ore 18:49

Mai più profitto a tutti i costi

Don Oreste ha lasciato la sua eredità non solo ai suoi seguaci, ma anche al mondo universitario e politico: sistemi di oppressione basati sul profitto vanno sostituiti
Mai più profitto a tutti i costi
Foto di Alessio Zamboni
A Rimini la riflessione sulle azioni politiche che oggi sono urgenti e necessarie per una società che metta. Al centro la dignità delle persone, l'uguaglianza dei diritti umani. A confronto esperti di diritti umani, tratta e giustizia riparativa

Tuonano le parole di don Oreste Benzi nella cineteca Gambalunga di Rimini. «Nella società del profitto l'individuo ha il gusto del possedere a tutti i costi. ll principio che dà forma alla Società del gratuito, invece – continua don Oreste – è l’alterocentrismo e la dinamica generata da questo principio è la gratuità». Il prete della tonaca lisa in un video messaggio stamane ha trovato il sostegno di personalità di spicco a livello internazionale oltre ai suoi successori.

Siamo alle Giornate di don Oreste, a Rimini, sabato 6 settembre, conferenza dedicata alle responsabilità della politica per costruira la Società del gratuito, moderata da Virginia Piccolillo, giornalista del Corriere della Sera

Mara Rossi, rappresentante della Comunità a Ginevra dal 2009, ha sottolineato come la condivisione sia nel DNA della Comunità: non basta affrontare le conseguenze dello sfruttamento, ma è necessario rimuoverne le cause, passando dall’“homo economicus” all’“homo amans”. La distribuzione deve essere equa, commisurata ai bisogni, e la solidarietà deve diventare preventiva, non solo reattiva.

Don Marco Pagniello, direttore nazionale di Caritas, ha richiamato tre insegnamenti di don Oreste: il protagonismo degli ultimi, la creatività come via di rinascita e il rifiuto della delega. Non è solo compito di Caritas, ma di tutti i cristiani affrontare le disuguaglianze agendo sulle cause: lavoro, istruzione, casa, salute. I dati parlano chiaro: oltre 3.300 servizi attivi, il 10% della popolazione in povertà assoluta, 278.000 famiglie assistite nel 2024 e un aumento del 60% delle richieste di aiuto in dieci anni. La povertà – ha ricordato – è una morsa che stringe chi vi cade, e non bisogna dimenticare i giovani e la povertà educativa.

Il professor Marco Mascia (Università di Padova) ha richiamato i valori universali dei diritti umani, che don Oreste incarnava. La violazione dei diritti mina la democrazia stessa, mentre lo “spirito di fratellanza” è la base di una società giusta. Una buona notizia arriva dalla Rete delle Università per la Pace, promossa dai rettori, con anche un dottorato dedicato agli studi sulla pace.

Contrastare la mercificazione dei corpi

Michel Veuthey, coordinatore del network internazionale di esperti antitratta Ad Laudato si’, ha sottolineato come la lotta alla tratta richieda volontà politica e mobilitazione pubblica.
Tre i messaggi chiave:

  1. Gli attori religiosi hanno un ruolo fondamentale ma devono fare i conti con le proprie ambiguità, perché la fede può diventare sia strumento di liberazione che di controllo.
  2. I sopravvissuti non vanno considerati solo vittime: sono esperti, formatori e protagonisti del cambiamento.
  3. Le narrazioni – religiose, politiche, femministe, abolizioniste – sono decisive, poiché plasmano le risposte al fenomeno, talvolta in modo costruttivo, altre volte problematico. Per questo è necessaria una cooperazione inclusiva tra ideologie e settori, con un approccio centrato sulla persona.

A venticinque anni dal Protocollo di Palermo, le reti criminali non sono state smantellate: si sono adattate e ampliate. «La tratta non è questione di beneficenza, ma di giustizia – ha ribadito Veuthey –. Giustizia significa smantellare i sistemi economici e culturali che alimentano lo sfruttamento e riconoscere i sopravvissuti come agenti attivi di cambiamento».
Un ultimo appello è andato alla dimensione spirituale: «È una battaglia anche interiore. Dobbiamo pregare per le vittime, per chi le sostiene e per la conversione dei trafficanti».

Stefania Lupo, del servizio antitratta della Comunità Papa Giovanni XXIII, ha raccontato l’evoluzione delle Unità di Contatto, nate all’interno dei progetti regionali e oggi attive in varie città. Si tratta di un approccio che integra o sostituisce le tradizionali unità di strada, mappando siti e piattaforme online per raggiungere telefonicamente le persone sfruttate. «Siamo solo una voce – spiega – e abbiamo pochi secondi per trasmettere vicinanza e offrire aiuto». Una sfida che ha aperto nuovi scenari sullo sfruttamento sessuale indoor e online, mettendo in luce la necessità di creare spazi vitali oltre l’accoglienza residenziale e di affrontare la condizione delle persone transessuali, spesso escluse da lavori dignitosi e cure adeguate.

Irene Ciambezi, esperta antitratta e giornalista, ha ripercorso la profezia di don Oreste, che già negli anni ’90 denunciava il mercato della prostituzione come “contro la dignità umana”. La sua battaglia aveva uno sguardo internazionale, dalle rotte in Nigeria e Albania fino agli appelli a Gheddafi per fermare i flussi in Libia. Parallelamente, don Benzi promosse azioni politiche concrete: dal referendum del 2003 al sostegno al ddl Carfagna del 2008, fino alle proposte legislative bipartisan del 2016 e del 2022, sempre in linea con il modello nordico (Equal Model).
Ciambezi ha ricordato come Papa Francesco abbia individuato in mercificazione, domanda e corruzione le cause profonde della tratta. Per questo non basta colpire i clienti della prostituzione: occorre sanzionare e rieducare tutti i consumatori di beni e servizi provenienti dallo sfruttamento, come raccomandano anche OSCE e ILO. Accanto a questo, serve promuovere campagne di sensibilizzazione, percorsi educativi nelle scuole e nelle università, e codici etici vincolanti per aziende e sponsor.
Un punto decisivo è il coinvolgimento diretto delle sopravvissute: «Prima occupiamoci delle schiave», diceva don Oreste. Oggi il loro protagonismo è essenziale, non solo come testimonianza, ma come leadership nelle politiche antitratta. La sfida, conclude Ciambezi, è anche comunicativa: non colpevolizzare o mitizzare il consumatore, ma dare voce alle vittime come protagoniste di un cambiamento condiviso.

Sostenere le comunità che rieducano i detenuti 

Il professor Adolfo Ceretti (Università Bicocca), criminologo, ha posto l’attenzione sulla giustizia riparativa: i detenuti devono essere visti non solo come carnefici, ma anche come vittime. Con l’aiuto di un terzo mediatore è possibile aprire spazi di dialogo, ascolto e perdono. Di fronte al crimine bisogna reagire senza commettere altri mali: alla razionalità della pena va affiancata una modalità dialogica, come nei percorsi dei CEC, per creare accordi riparativi.

Giorgio Pieri ha infine ricordato le comunità educative per detenuti della Comunità Papa Giovanni, luoghi dove si ricostruisce la dignità della persona, perché “l’uomo non è il suo errore”.