Donne dell’Est Europa provenienti da minoranze etniche, donne sudamericane fuggite da territori segnati da violenza politica, povertà estrema: sono loro il volto invisibile della maternità surrogata commerciale. Un mercato globale che vale miliardi e che si nutre di disuguaglianze, e di situazioni di ingaggio forzato o con l'inganno. Proprio per questo l’Unione Europea, con la nuova Direttiva 1712, ha riconosciuto la maternità surrogata come una possibile forma di sfruttamento e tratta di esseri umani. Situazione che si differenzia invece dalla maternità solidaristica in cui la gestante non viene pagata per portare avanti la gravidanza, ma riceve solo un rimborso spese per alimentazione e cure sanitarie durante la gravidanza.
Una svolta che dà finalmente un nome a ciò che da anni è stato occultato dietro al desiderio di un figlio a tutti i costi, e al tema dei diritti regolati da un contratto. Un passo fondamentale per la prevenzione, l’identificazione precoce delle vittime e la loro protezione, soprattutto tra donne marginalizzate e rimaste senza sostegno familiare, a detta di diverse organizzazioni che denunciano da anni la mercificazione di queste madri.
Secondo le stime ONU, oltre 50 milioni di persone nel mondo vivono in condizioni di sfruttamento assimilabili alla schiavitù moderna, e più del 70% sono donne e ragazze. In questo contesto, si inserisce la nuova frontiera della tratta: lo sfruttamento riproduttivo.
Valentina Di Paco, dell’Ufficio di Ginevra della Comunità Papa Giovanni XXIII, recentemente intervenuta a Bruxelles alla conferenza presso il Parlamento Europeo dal titolo Maternità surrogata: una sfida etica e politica per l’Europa, ci spiega il legame con la tratta di persone.
«Perché la maternità surrogata commerciale può includere gli stessi meccanismi della tratta: reclutamento, inganno, abuso di vulnerabilità, trasferimento e sfruttamento. Anche se il Protocollo di Palermo contro la Criminalità organizzata transnazionale per combattere il traffico di migranti non cita esplicitamente la surrogazione, la legge modello dell’Ufficio delle Nazioni Unite contro la Droga e il Crimine (UNODC) la indica chiaramente come "potenziale forma di sfruttamento". Quando c’è profitto, squilibrio di potere e una donna in condizioni di bisogno, il rischio di tratta è concreto».
«Assolutamente no. Le donne trafficate vengono reclutate con promesse economiche ingannevoli, senza una reale consapevolezza dei rischi medici, psicologici e legali. Non è una scelta libera: è violenza strutturale. Il Protocollo di Palermo è chiarissimo: "Il consenso è irrilevante" quando esistono condizioni di coercizione, inganno o abuso di vulnerabilità. Un consenso che nasce dalla povertà, dalla discriminazione di genere, dalla marginalizzazione non è mai davvero libero. È il risultato di un sistema ingiusto».
«È un legame diretto. La surrogazione commerciale espone al rischio concreto di vendita di bambini, vietata esplicitamente dal Protocollo opzionale alla Convenzione sui Diritti dell’Infanzia. Già nel 2016 e poi nel 2018, l’allora Relatrice Speciale ONU sulla vendita di minori, Maud de Boer-Buquicchio, ha denunciato come la surrogazione commerciale porta, nei fatti, alla vendita di bambini. Anche le forme cosiddette “altruistiche” non sono esenti da rischi quando circolano compensi o rimborsi notevoli».
«Raccontano le violenze che hanno subìto e le profonde ferite che si portano dentro. Io stessa ho vissuto in una casa rifugio con vittime di tratta: ricordo i loro occhi, le parole spezzate, il dolore che riaffiorava nei racconti. Sono segni che restano per sempre. Tutte vittime di un sistema violento, guidato dal profitto e dalla “domanda di mercato”, che mette l’interesse economico prima della dignità umana».
«Sosteniamo la richiesta di «abolizione globale della maternità surrogata» della Relatrice Speciale ONU sulla violenza contro donne e ragazze, Reem Alsalem, e la "decriminalizzazione delle madri surrogate", riconosciute come vittime. Portiamo la voce di queste donne alle Nazioni Unite, lavoriamo in rete con altre ONG e promuoviamo politiche che mettano al centro la persona e i diritti umani».
«Il corpo delle donne e la vita dei bambini non sono merci. La mercificazione è sempre violenza. Come ricordava don Oreste Benzi, nostro fondatore, una società che mette il profitto sopra le persone è una società ingiusta. Noi crediamo in un modello opposto: "una società della gratuità", dove ogni essere umano è uguale in dignità. E la dignità non è negoziabile».