Foto di EPA/MIGUEL GUTIERREZ
Tra narcotraffico e navi da guerra al largo del Paese caraibico, la popolazione resiste alla violenza politica e alla povertà. Voci di pace: un nuovo santo medico dei poveri, i vescovi che chiedono la liberazione dei prigionieri, un premio Nobel donna che invita alla pace e operatori umanitari che non intendono lasciare gli ultimi.
Il Venezuela è oggi un Paese sotto il mirino non solo di Trump, ma di diversi privati che dall'estero non intendono rinunciare ai propri interessi.
A questo si aggiunge, dalle elezioni del 28 luglio 2024, l’esplosione di diverse forme di repressione: violenze contro attivisti e giornalisti per soffocarne il dissenso, sparizioni arbitrarie, controllo delle finanze dei cittadini e della libertà di espressione, limitazioni sui beni di prima necessità e l'addestramento militare forzato di uomini e donne che non possono rifiutare altrimenti rischiano la prigione. «In un Paese dove persino le parole possono diventare pericolose – ci confidano con voce preoccupata operatori umanitari che continuano al fianco dei più indifesi – la paura di parlare non ha ancora soffocato la nostra convinzione di resistere senza armi, scegliendo la via coraggiosa della pace».
Narcotraffico, sparizioni, reclutamento forzato alle armi
Il Venezuela pur non essendo produttore di cocaina è terra di passaggio della droga che proviene soprattutto dalla Colombia. Accanto al narcotraffico, una grande fonte di profitto proviene dalle miniere nel Sud del Paese. Le mafie del narcotraffico, i cosiddetti colectivos e infiltrati nelle forze di sicurezza si sovrappongono: sparizioni e detenzioni incerte diventano strumenti di controllo politico e sociale. Per questo molte aree, specialmente quelle più periferiche e minerarie, estremamente pericolose.
Negli ultimi mesi il governo ha rilanciato la mobilitazione delle milizie popolari e piani di reclutamento dei cittadini per la “leva forzata” specialmente dei giovani nelle aree più povere.
Inoltre i minerali più ricercati - oro, coltan, litio - e le riserve petrolifere rendono il Paese un nodo geopolitico: traffici illegali d’oro, concessioni controllate da attori statali e privati e la domanda globale di minerali attirano interesse esteri e contribuiscono, secondo rapporti dell’UNODC, a episodi di illegalità e violenza.
Voci di pace: resistere senza armi
Nonostante le difficoltà e i contrasti con lo Stato, la Chiesa cattolica continua ad essere una delle reti di sostegno più radicate con parrocchie, medici volontari, centri di ascolto e organizzazioni che continuano ad assistere i più vulnerabili. La recente canonizzazione del «medico dei poveri», José Gregorio Hernández, ha acceso una speranza e un forte senso di solidarietà per molti venezuelani: il medico che curava i poveri senza chiedere soldi è oggi diventato un simbolo di cura degli ultimi e di resistenza non violenta.
Ma c’è di più: in occasione della canonizzazione del 19 ottobre scorso dei primi due santi venezuelani, ovvero madre Carmen Rendiles e il dottor José Gregorio Hernández, i vescovi venezuelani hanno chiesto esplicitamente a Papa Leone XIV di intercedere per la liberazione dei prigionieri.
Un’altra voce che sta facendo il giro del mondo in queste ore è quella del premio Nobel per la pace, María Corina Machado in isolamento da 15 mesi, che dice alle milizie venezuelane e a chi viene reclutato per forza: «Siate eroi, non criminali. Non armatevi contro il nostro stesso popolo!». L’attivista venezuelana, che il 10 dicembre intende raggiungere Oslo per la premiazione ufficiale, nonostante le minacce, ha aggiunto nelle sue recenti dichiarazioni sui social: «Non siamo soli. Sono certa che anche io un giorno potrò tornare a camminare per le strade del mio Paese e abbracciare i miei figli e milioni di figli e figlie del Venezuela».
Gli operatori umanitari: restiamo al fianco degli ultimi
La crisi umanitaria è profonda: agenzie dell’ONU stimano che milioni di persone hanno bisogno di assistenza, con un 52% della popolazione in estrema povertà. Secondo il rapporto 2024 di UNICEF, 3,8 milioni di bambini avevano bisogno di aiuti umanitari, di cui il 12% con disabilità, e un preoccupante aumento della mortalità materna del 182%. Per questo migliaia di venezuelani cercano di scappare verso Colombia, Perù e Brasile oppure attraverso la "Selva", la pericolosa rotta del Darién verso il Panama per raggiungere Messico e Stati Uniti. «Quando vicini o amici ci raccontano che vogliono raggiungere l’America centrale, sappiamo già che saranno presi di mira dalle bande armate nascoste nella giungla o rischieranno di morire per infezioni, disidratazione, fame lungo i percorsi sommersi dal fango».
Gli operatori umanitari rimasti in Venezuela raccontano di vivere con risorse limitate, pochi pasti al giorno, limiti alle forniture di energia elettrica e rischi per la propria sicurezza per i controlli sui contatti telefonici con l’esterno, le restrizioni sulle operazioni bancarie e limiti alle forniture, ma continuano a sostenere le persone più emarginate.
«Non andremo via dal Venezuela nonostante la forte tensione - spiegano in anonimato gli operatori umanitari che ci hanno “prestato i loro occhi” - perché la nostra missione è stare a fianco di chi soffre. Anche se siamo sotto pressione, se ce ne andassimo proprio ora che c’è più bisogno di aiuto e di pace, lasceremmo senza voce e senza protezione chi non ha nessun altro che si prenda cura di loro».